Raccolta di opere in uno ”studio metodologico”: violazione del diritto d’autore?
La riproduzione di opere d’arte, allorché sia integrale e non limitata a particolari delle opere medesime non costituisce alcuna delle ipotesi di utilizzazione libera; per godere del regime delle libere utilizzazioni, inoltre, detta riproduzione deve essere strumentale agli scopi di critica e discussione, oltre che al fine meramente illustrativo correlato ad attività di insegnamento e di ricerca scientifica dell’utilizzatore e non deve porsi in concorrenza con l’utilizzazione economica dell’opera che compete al titolare del diritto: diritto che ricomprende non solo quello di operare la riproduzione di copie fisicamente identiche all’originale, ma qualunque altro tipo di replicazione dell’opera che sia in grado d’inserirsi nel mercato della riproduzione, e quindi anche la riproduzione fotografica in scala.
Sono questi i principi enunciati dalla Prima Sezione Civile della Cassazione nell’ordinanza 1° dicembre 2021-8 febbraio 2022, n. 4038 (testo in calce) che fornisce importanti chiarimenti in merito al caso in cui la raccolta di opere di un artista in uno studio metodologico possa configurare violazione del diritto d’autore.
Il caso
La vicenda trae origine dai diversi contenziosi azionati dagli eredi di un rinomato pittore italiano contro l’omonima Fondazione a cui era stato conferito il compito di conservare e tutelare l’opera del defunto artista. L’ente che nel tempo aveva costituito un importante archivio delle opere dell’autore poteva rilasciare degli experties, ma non gli era permesso né di utilizzare il nome dell’artista nella sua denominazione né di presentarsi come unico soggetto autorizzato a certificare l’autenticità delle opere ad esso attribuite. La Fondazione aveva successivamente pubblicato, con la collaborazione di un’Università, un’opera in sei volumi denominata «Studio metodologico» avente ad oggetto la catalogazione informatica dei dati relativi alle opere del pittore presenti nell’archivio dell’ente. Gli eredi dell’artista hanno quindi nuovamente agito in giudizio contro la Fondazione, l’Università ed altri soggetti non solo per denunziare la violazione dei diritti d’autore sulle opere riprodotte, ma anche per contestare il perdurante illecito sfruttamento del nome dell’autore e l’usurpazione delle prerogative derivanti dai diritti morali sulle opere stesse.
La Corte di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado che aveva respinto le domande proposte dagli eredi, ha dichiarato illegittimo l’uso da parte della Fondazione del nome dell’autore, in ordine al quale è stata pronunciata anche l’inibitoria, ed ha condannato l’ente al risarcimento del danno non patrimoniale. Il Giudice d’appello ha osservato che la pubblicazione dello «Studio metodologico» doveva ritenersi legittima, avendo ipotizzato che, in tema di opere figurative, la disposizione di cui all’art. 70 della Legge. 22 aprile 1941, n. 633 (Legge sul diritto d’autore) si risolve nel divieto di riproduzione per intero dell’opera dell’artista. È stato inoltre accertato che quanto realizzato dalla Fondazione consisteva in un’opera informatica e non di critica artistica. Si trattava di uno studio di catalogazione informatica non avente finalità di consentire la fruizione artistica della riproduzione delle opere che veniva attuata attraverso la creazione di copie di piccole dimensioni. Secondo quanto sostenuto dalla Corte di merito, le finalità di ricerca dello studio risultavano evidenti anche in ragione della partecipazione alla catalogazione informatica da parte di una Università. Il Giudice d’appello ha dunque negato che l’opera fosse stata realizzata per finalità lucrative e quindi che, nel caso di specie, non ci si trovasse di fronte ad uno sfruttamento economico delle opere. Per quanto concerne poi l’invio da parte della Fondazione dello «Studio metodologico» a gallerie o case d’asta, librerie d’arte e istituzioni pubbliche, tale condotta non avrebbe costituito sfruttamento economico delle opere e non giustificava la conclusione che esso fosse stato posto in essere per finalità commerciali. Per il Giudice d’appello era decisivo che gli operatori del mercato dell’arte avessero utilizzato la catalogazione come referente della genuinità delle singole opere dell’autore poiché tale condotta integrava un uso per finalità commerciale imputabile a terzi e non ai convenuti. La Corte d’appello ha infine accertato che era stato comprovato l’uso surrettizio da parte della Fondazione del nome dell’autore in violazione della inibitoria emanata nell’ambito di un diverso giudizio: è stata pertanto ritenuta necessaria la pronuncia di una nuova inibitoria e la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale correlato all’uso reiterato del nome posto in essere dopo la pubblicazione delle sentenze.
Gli eredi dell’artista hanno proposto ricorso per cassazione, contestando in particolare la violazione e l’errata applicazione di quanto disposto dall’art. 70 del Legge n. 633/1941, oltre che degli artt. 12, 13, 17 e 18, comma 3. I ricorrenti hanno lamentato che il Giudice d’appello avrebbe applicato allo «Studio metodologico» ed ai cinque volumi allegati la disposizione sulla libera utilizzazione delle opere al di fuori dei presupposti di legge, errando pertanto nel ritenere non violate le facoltà di utilizzazione esclusiva di riproduzione, pubblicazione in raccolta e distribuzione.
I ricorrenti hanno altresì eccepito che lo «Studio metodologico» era stato utilizzato dalla Fondazione per il perseguimento di uno scopo commerciale vista la tipologia di soggetti destinatari dell’opera.
La Fondazione ha a sua volta resistito con controricorso contenente impugnazione incidentale, avendo contestato la violazione e l’errata applicazione dell’art. 2056 c.c. e dell’art. 1226 c.c. in relazione alla condanna al risarcimento del danno non patrimoniale. La controricorrente ha eccepito che la sentenza del Giudice di appello non conteneva l’enunciazione del processo logico e valutativo posto a fondamento della pronuncia risarcitoria concernente il danno arrecato al nome dell’artista.
Fonte Altalex.com