
Danno da fermo tecnico del mezzo va provato?
In caso di sinistro stradale, il cosiddetto danno da “fermo tecnico”, ossia quello che si concreta nell’impossibilità temporanea di utilizzare il veicolo, non è presunto, ma va provato. Ad esempio, dimostrando di aver sopportato degli esborsi per noleggiare un mezzo alternativo. Nel nostro ordinamento, infatti, non trovano ingresso i danni in re ipsa e grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il pregiudizio subito. In particolare, il danno non può desumersi dalla mera circostanza dell’indisponibilità del mezzo, né dal pagamento della tassa di circolazione (che prescinde dall’uso del veicolo) e delle spese assicurative (che possono essere sospese); infine, il deprezzamento del bene non è legato causalmente al fermo tecnico, ma alla necessità di procedere alla riparazione del mezzo.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza 4 aprile 2019, n. 9348.
La vicenda
Durante una manovra di retromarcia, un’auto travolge un motociclo, parcheggiato in strada e privo di assicurazione. Il mezzo riporta dei danni e la proprietaria, ritenendo insufficiente la somma offerta dall’assicurazione del danneggiante, agisce in giudizio per ottenere la differenza. Ella ritiene di aver patito, oltre ai danni materiali, un pregiudizio a causa del fermo tecnico del ciclomotore, durato ben tre giorni, per i quali chiede la condanna del responsabile al risarcimento. In primo ed in secondo grado, la richiesta attorea viene rigettata. Infatti, secondo i giudici di merito:
- la somma versata dalla compagnia assicurativa doveva considerarsi satisfattiva del danno materiale riportato dalla moto;
- non era dovuta l’IVA, poiché non era stata prodotta la relativa documentazione fiscale in ordine all’assolvimento della stessa;
- il danno da fermo tecnico non era risarcibile, poiché il mezzo non poteva circolare, essendo privo di garanzia assicurativa.
Interviene la Cassazione, che si pronuncia sulla problematica del fermo tecnico del veicolo e chiarisce quando sia ammissibile il risarcimento per questa tipologia di pregiudizio.
Il danno da fermo tecnico del mezzo
Il cosiddetto danno da fermo tecnico consiste nel nocumento subito dal danneggiato per la perdita della materiale disponibilità del mezzo nel tempo necessario alla riparazione, da cui deriva l’impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile. Infatti, il veicolo, anche durante il periodo di “sosta forzata”, resta comunque una fonte di spesa per il titolare, il quale deve sostenere la tassa di circolazione, il premio assicurativo, oltre a subire il naturale deprezzamento di valore del bene. La Corte si trova a dover decidere se il danno da “sosta forzata” sia un danno in re ipsa – come sostenuto da parte ricorrente – ovvero se debba essere allegato e provato. La questione è stata oggetto di un pluriennale contrasto giurisprudenziale, di seguito si segnalano i due orientamenti contrapposti.
Primo orientamento: danno presunto (in re ipsa)
Secondo alcune pronunce (Cass. 22687/2013; Cass. 13215/2015), il danno a carico del proprietario è in re ipsa, ossia consiste nel fatto stesso dell’impossibilità di utilizzare il proprio veicolo per un certo tempo, a prescindere dall’uso effettivo a cui il bene è destinato. Dunque, l’esistenza di un danno risarcibile può ritenersi sussistente sulla base di una presunzione relativa (praesumptio hominis) superabile solo con la dimostrazione concreta che il proprietario, anche se non fosse stato privato della possibilità di usare il mezzo, non l’avrebbe comunque utilizzato. Il danno discende dalla perdita della disponibilità del veicolo e dall’impossibilità di goderne; il pregiudizio patrimoniale si riconnette alla perdita temporanea delle utilità normalmente conseguibili nell’esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità che il proprietario subisce. Tuttavia, si tratta di una presunzione iuris tantum, superabile ove si accerti che il titolare si sia intenzionalmente disinteressato del bene. Al di fuori di questa ipotesi, la quantificazione del danno avviene sulla base di elementi presuntivi semplici e viene liquidato dal giudice in via equitativa.
Secondo orientamento: danno da provare
Altre pronunce (Cass. 970/1996; Cass. 12820/1990) si oppongono alla ricostruzione sopra esposta e considerano insufficiente la mera indisponibilità del veicolo ai fini della liquidazione del danno da fermo tecnico. Mentre per il primo orientamento si prescinde dall’uso effettivo del veicolo, per il secondo, invece, esso assume rilievo determinante ai fini dell’esistenza di un danno risarcibile. Infatti, intercorre una differenza significativa tra il pregiudizio derivante dal fermo di un mezzo utilizzato solo per ragioni ludiche e quello scaturente dal fermo di un veicolo utilizzato a scopo lavorativo (Cass. 13718/2017). Per questa ragione, il pregiudizio deve essere allegato e il danneggiato ha l’onere di dimostrare la spesa sostenuta per procurarsi, ad esempio, un mezzo sostitutivo (danno emergente), ovvero deve provare la perdita di utilità economica sofferta per il mancato uso del bene o la perdita derivante dalla rinuncia forzata ai proventi ricavabili dal suo impiego (lucro cessante). Il danno non è presunto né coincidente con l’evento, al contrario si tratta di un “danno conseguenza” ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c.; pertanto il danneggiato, che ne chieda il ristoro, è tenuto a dimostrare l’effettiva lesione del proprio patrimonio. In buona sostanza, ogni conseguenza pregiudizievole derivante dal danno va provata, ossia occorre dimostrare di aver subito un depauperamento per non aver potuto usare direttamente e tempestivamente il mezzo.
La pronuncia
La Terza Sezione della Cassazione ha aderito all’ultimo orientamento, ritenendo che l’indisponibilità del veicolo, nel torno di tempo necessario alle riparazioni, vada allegata e dimostrata, pertanto, la prova del danno non può desumersi dalla mera circostanza dell’impossibilità di fruire del veicolo stesso (Cass. 15089/2015; Cass. 20620/2015; Cass. 13718/2017). La Corte indica le premesse su cui si fonda tale conclusione:
1) il danno in re ipsa non può trovare ingresso nel nostro ordinamento,
a) il danno non coincide con l’evento dannoso, ma riguarda le conseguenze che discendono dall’eventusdamni;
b) ammettere il danno in re ipsa si traduce nell’attribuire una funzione sanzionatoria alla responsabilità civile, anche al di fuori dei casi in cui la legge lo consente [1](Cass. 31233/2018);
2) la liquidazione equitativa del danno da parte del giudice non può sopperire alla mancata allegazione probatoria. Prima è necessario acclarare la “consistenza ontologica” del danno e, solo dopo, procedere alla sua quantificazione equitativa. Laddove non esista la certezza sull’esistenza del danno, il giudicante non può liquidarlo. Infatti, «il potere del giudice di liquidare equitativamente il danno ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della sua precisa determinazione» e non esonera l’attore dall’onere della prova (Cass. 11698/2018). Di contro, il primo orientamento, fa un uso distorto della regola posta dall’art. 1226 c.c. in materia di liquidazione equitativa; questa non è sempre ammessa, ma è consentita «soltanto a condizione che sia obiettivamente impossibile o particolarmente difficile dimostrare, nel suo preciso ammontare, il danno di cui è peraltro provata con certezza la sussistenza» (Cass. 13718/2017);
3) la tassa di circolazione e le spese di assicurazione sopportate dal proprietario anche durante il fermo tecnico non possono reputarsi inutilmente pagate. Il cosiddetto “bollo” prescinde dall’uso del veicolo, poiché è una tassa di proprietà; la polizza può essere sospesa dal danneggiato, il quale deve impiegare l’ordinaria diligenza (art. 1227 c. 2 c.c.) ed evitare danni ulteriori;
4) infine, il naturale il deprezzamento del veicolo non è eziologicamente connesso al fermo tecnico, ma dipende dalla necessità di riparare il mezzo stesso.
Risarcimento del danno patrimoniale: l’IVA
Per completezza espositiva, si segnala un altro aspetto su cui è intervenuta la Cassazione con la pronuncia oggetto di scrutinio, ossia il risarcimento dell’IVA versata al riparatore.
La Corte precisa che il risarcimento del danno patrimoniale deve comprendere anche gli oneri e accessori ad esso conseguenziali. Pertanto, se il danno subito dal mezzo ha costretto il proprietario alla riparazione, l’importo dovuto a titolo di risarcimento deve essere comprensivo di quanto il danneggiato abbia versato all’autoriparatore a titolo di IVA. La suddetta somma è dovuta anche nella circostanza in cui la riparazione non abbia ancora avuto luogo, atteso che il riparatore per legge (art. 18 D.P.R. 633/1972) è tenuto ad addebitarla al committente, a titolo di rivalsa (Cass. 1688/2010). Nel caso di specie, i giudici di merito hanno rifiutato il rimborso di tale cifra coerentemente con la ratio decidendi della decisione impugnata. Infatti, secondo la ricostruzione effettuata:
- il veicolo è stato alienato immediatamente dopo la riparazione;
- il danneggiato non ha dimostrato di aver versato l’IVA al riparatore o di avere sostenuto spese di sorta;
- infine, si ritiene che la riparazione sia avvenuta “in economia”, ossia senza versamento dell’IVA al riparatore.
Ne consegue che il Tribunale non abbia negato tout courtche al danneggiato spetti il ristoro dell’importo dovuto a titolo di IVA sul costo delle riparazioni, al contrario, ha accertato che, nella fattispecie in oggetto, non v’era fattura e che l’IVA non fosse stata assolta. Del resto, trattasi di un accertamento di merito, non sindacabile in sede di legittimità (Cass. 19294/2016)
Conclusioni
Secondo il percorso argomentativo seguito dagli Ermellini, la sentenza gravata ha correttamente applicato le premesse sopra indicate e ha negato il risarcimento del danno da fermo tecnico in ragione della circostanza per cui il motociclo era sprovvisto di assicurazione obbligatoria e, pertanto, non poteva circolare. Nessuna prova contraria è stata fornita dal danneggiato quindi, secondo il principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), actore non probante reus absolvitur.
La Cassazione ribadisce che il danno in re ipsa crea una presunzione che non solo esonera il danneggiato dall’onere probatorio di cui sopra, ma impone al preteso danneggiante di fornire una prova negativa (Cass. 13071/2018). Secondo l’orientamento seguito dalla pronuncia in commento, il danno in re ipsa rappresenta un illegittimo esonero dall’onere della prova ed è stato escluso anche dall’insegnamento delle cosiddette “sentenze di San Martino”, a mente delle quali è scorretto il “compattamento” del danno-evento con il danno-conseguenza. Ciò che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato; pertanto, è da disattendere la tesi che considera il danno come presunto, perché così «snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo» (Cass. S.U. 26972/2008).
fonte: https://www.altalex.com/documents/news/2019/04/12/danno-da-fermo-tecnico